19 gennaio 2018

L'Italia rimpianta e immortale nei rebus de La Settimana Enigmistica. Uno scritto reazionario


Pubblicato il 27 marzo 2014

Esiste un'Arcadia italiana? Una placenta epocale a cui, più o meno consciamente, vorremmo ritornare? Le risposte da voi date saranno varie: gli anni Settanta, i Sessanta, i Cinquanta ... anche i tempi di guerra, con le sue ristrettezze ... oppure quando c'era lui caro Lei ... Perché no ... La nostalgia, nostalgia canaglia ... ognuno ha il proprio cantuccio dorato, a jolly corner, dove riandare per crogiolarsi in un mondo migliore. Ognuno con la propria piccola patria: in realtà una sola, perché tutte le Italie passate sono un solo paese, congelato da secoli: immarcescibile, campanilista, cattolico, reazionario, ma anche socialista e comunista.
L'Italia eterna, guareschiana, da tutti riconoscibile e, perciò, pur negli odi contrapposti, da tutti condivisa.
Un'Italia oggi distrutta, schiantata. In poco più di trent'anni paesaggi fisici, morali e interiori sono stati stravolti da un vento inesorabile, continuo, sempre più impetuoso. Il passato non lo intendiamo più. Ma lo rimpiangiamo, altroché. E dove ritrovarlo? Nei disegni subliminali de La Settimana Enigmistica ... I rebus, congressi strazianti di uomini, gesti, rovine, di un tempo che fu ... nostalgia canaglia ...

R è monello; S calmo = Remo nello scalmo
Un ragazzetto si diverte legando un barattolo alla coda del gatto. Un mondo alieno dalle preoccupazioni animaliste; esente dai vegetariani; dai vegani; dai criptobuddisti. Normale, sano. Senza facebook. Privo delle soffocanti isterie che hanno rivoluzionato le gerarchie dei viventi: un agnello scorticato: orrore! Un drone falcia quaranta invitati a un matrimonio in Afghanistan: un rettangolino a pagina 52 del Corriere e lo sbadiglio del giornalista bene di Rai 24. Gli animali dei nababbi salgono i gradini della scala sociale; i precari la discendono. La riprova? Provate a scalciare un botolo a Villa Pamphili: non ne uscirete vivi. Provate a licenziare un precario e vi diranno: uno solo? E perché non due?
E i ragazzetti: normalissimi. Pantaloncini corti, maglietta di cotone e renitenza all'I-phone.
Eccezionale, come al solito, la chiesetta con il campanile sulla sinistra, a riaffermare il carattere atavico, campanilista e rurale del mondo perduto.

13 gennaio 2018

Perché l’1% ci tiene in vita?


Roma, 12 gennaio 2018

Invecchiando non solo si diventa esperti e, perciò, restii alla logica (Russell: "L'esperienza è l'intelligenza degli stupidi"), ma si tende a divagare. Per tali motivi, non chiedetevi se tali notazioni sono tecnicamente esatte (non lo sono, anche se, forse, per pura combinazione, qualche frase può centrare il bersaglio) ... e nemmeno chiedetevi, al contempo, se valga la pena di leggere gli incisi (li ho messi fra parentesi quadra così potete saltarli; nulla osta a saltare la lettura di tutto il pezzo, ovviamente).

Lo ammetto: sono ignorante in economia, sociologia e psicologia di massa. Posso affermare, con umiliante sincerità, che tali materie, ormai, mi spaventano. Per la vastità di opere e pubblicazioni; e per il labirintico viluppo delle correnti e delle diatribe in cui autori, discepoli, apologeti e apostati si scannano con sanguinosa regolarità. Ho maturato, perciò, una rassegnata ignoranza, non disgiunta, tuttavia, da un divertito distacco; tale pathos della distanza è dovuto a una ben nota dannazione (ben nota a me stesso, ovviamente).
Questa si abbatté sul sottoscritto in giovane età; si compone di due shock culturali, sorta di illuminazioni da scena primaria (e no, non riuscirò mai a liberarmene). Tali shock consistono in due brevi e apparentemente innocenti notazioni: la prima è di A. N. Whitehead (suona pressappoco: “L’intera filosofia occidentale è una serie di glosse a Platone”); la seconda è un estratto dal primo frammento di Parmenide (“Il solido cuore della ben rotonda Verità”).

05 gennaio 2018

Il rutto del comunista


Roma, 5 gennaio 2018

Il commentatore Stefanov mi fa notare un articolo natalizio: Buon Natale dalle multinazionali, in cui ci si fa beffe della decrescita e si ammannisce, dal proprio desco, qualche indicazione ai propri utenti: non fatevi ingannare, questo rischia di essere un mondo felice, meglio un panettone di plastica che niente, ruttate le bollicine della Sprite in faccia ai lugubri sostenitori dell'austerità e così via.
Questo non sorprende.
Già il ruvido Eugenio Orso ebbe qualcosa da dire in merito.
Io, per me, da ignorante qual sono, non ho che da esprimere due cose (le sole due che mi vengono in mente; la terza è sottintesa: abbiamo perso):

30 dicembre 2017

I passi di un uomo (mangia caca mangia)


Roma, 30 dicembre 2017

In una breve nota al suo divertimento, Lo specchio degli enigmi, contenuto nella raccolta Altre inquisizioni, J.L. Borges scrive:

Che cos’è un’intelligenza infinita? domanderà forse il lettore. Non c’è teologo che non la definisca; io preferisco un esempio. I passi che muove ogni uomo, dal giorno della sua nascita a quello della sua morte, disegnano nel tempo un’inconcepibile figura. L’Intelligenza Divina intuisce tale figura immediatamente, come quella degli uomini un triangolo. Quella figura (forse) ha la sua determinata funzione nell’economia dell’universo”.

Nel Poema congetturale si legge:

"A questo fatale pomeriggio mi ha condotto
il labirinto molteplice di passi
che i miei giorni hanno architettato fin da un giorno
dell'infanzia. Alla fine ho scoperto
la recondita chiave dei miei anni,
la sorte di Francisco de Laprida,
la lettera mancante, la perfetta
forma che seppe Dio fin dal principio.

Spogliamo della teleologia i due passi. Ne consegue che solo Dio può avere contezza immediata e luminosa del ghirigoro immane che i passi che un uomo tratteggiano lungo l’intero corso della sua esistenza.
Dio oppure uno smartphone.

23 dicembre 2017

Aspettando il grande botto (il potere ci frega alla grande)


Pubblicato su Pauperclass il 1 ottobre 2015
 
A cosa ci siamo ridotti?
Ma non erano le forze della controinformazione a dover liberare il mondo?
Non eravamo noi tutti, tramite il magico mondo virtuale, a doverci unire, pian piano, per denunciare al popolo del Mondo Connesso i sotterfugi ignobili e criminali del potere e agire di conseguenza?
A cosa ci siamo ridotti?
A qualche isterico che sbraita soluzioni da saltimbanco e non riuscirebbe a portare verso di sé manco una maggioranza qualificata dell’assemblea condominiale?
A qualche squilibrato che crede a tutti i complotti e, quindi, di fatto, non crede più a niente?
A qualche vecchio umanista cattolico che spurga un po’ di veleno, ma sa già, in cuor suo, che le sue mura sono state abbattute dalle trombe di Gerico della propaganda e le trincee improvvisate già travolte da una artiglieria disinformativa mai vista (e sospettata) prima?
A qualche arnese che blatera di economia e vaticina ogni settimana la fine del mondo finanziaria?
A professorini insultanti che pontificano narcisisti, ma poi, all’atto pratico (armiamoci!), vengono seguiti da dodici-persone-dodici?
A chi crede che il petrolio è finito e quindi …
A chi crede che alluvioni e terremoti sono gestiti dalla CIA …
A cosa ci siamo ridotti?
Ve lo dico io: a gente che aspetta il botto.
Siccome non sappiamo fare più niente aspettiamo il botto fine-di-mondo che ci libererà dai tiranni a cui non sappiamo manco fare il solletico.

Povero Renzi


Pubblicato il 26 gennaio 2016

Vi ricordate il comico Antonio Cornacchione?
E, soprattutto, il tormentone: Povero Silvio!
Sembra passato mezzo secolo e, vi prego di credermi, non è una metafora.
Rimpiango quegli anni. Vi era acceso, in fondo all’animo, ancora un piccolo fuoco di speranza. La speranza che, prima o poi, qualcuno prendesse a calci nei denti i vari D’Alema, Bondi, Gasparri, Bossi, Diliberto, Veltroni; e tutta quella schiera di figuri che, sotto le spoglie della neutralità tecnica, stava spolpando l’Italia: Dini, Treu, Andreatta, Ciampi.
Inutile star qui a compilare liste: i nomi li conoscete tutti.
Povero Silvio! E tutti giù a ridere.
Povero Silvio! Con la mano destra si tenevano la pancia per le gran risa, con la sinistra incassavano gli onorari. Pagati da chi? Dal povero Silvio, ovviamente!
Va bene, lasciamo stare, tempi lontani.
Poi venne Monti e la voglia di sghignazzare subì un drastico declino. Vi ricordate? Mario I il Sobrio potava il welfare come un giardiniere invasato mentre la stampa si occupava a tempo pieno delle mignotte del povero Silvio.

14 dicembre 2017

Celebrity deathmatch: Barnard vs Saviano


Roma, 14 dicembre 2017

O vs Blondet, oppure Mazzucco. Oppure contro l'ottimo Marco Della Luna.
Il risultato sarebbe un KO devastante sin dai primi pugni.
Il volto da cagnolone vittimista di Saviano non verrebbe offeso nemmeno da una scalfittura.
Perché i controinformatori ricercano la verità, o quello che ritengono la verità e credono, scioccamente, che la verità sia rivoluzionaria.
Purtroppo è vero il contrario. La bella menzogna lo è (non la verità) poiché nasce col germe della sovversione.
Ho osservato Saviano alla presentazione del suo ultimo libro. Calmo, paziente, empatico, corretto (è rimasto sin alla fine sopportando smancerie, selfie, autografi compulsivi). Le sue idee erano basiche, elementari. Risultavano, però convincenti, anzi: suadenti, esposte con la tranquillità piana e scipita d'un maestro di scuola diligente e che piace alle mamme. Dopo pochi minuti, se lo avesse voluto, avrebbe condotto il gregge dove voleva lui, magari in un fosso. Nel pubblico s'era, infatti, ingenerata da subito la certezza che lui fosse nel giusto: poiché era vittima e le vittime hanno sempre ragione; poiché era un bravo ragazzo; poiché era pulito, educato; e pugnace il giusto. Uno che accusa, ferocemente, senza circostanziare granché, ma lo fa con quella bonomia PolCor per cui tutte le vacche sono grigie.

12 dicembre 2017

Solo, in chiesa, la mattina d’inverno




Roma, 12 dicembre 2017
Le chiese, le chiese cristiane e cattoliche, a Roma, in questi giorni d'inverno, assomigliano a case dove si veglia un defunto.

Anche questo è il mondo al contrario: una tradizione millenaria celebra, in luogo di una nascita divina, la propria morte.

Alle otto del mattino si trovano vecchie signore, un barbone e alcuni disperati. Sono i nuovi disperati, preda di quel terrore quieto, postmoderno, in cui non trova davvero posto né la felicità né l'infelicità, e che residua come un fondo lutulento e nerissimo nei luoghi più vitali e riposti dell'anima.

Prima di andarmene mi viene in mente il titolo del post: un endecasillabo.

Sei infelice? No.
Sei felice? No.

Sono felici? No. Come potrebbero esserlo spossessati come sono di tutto ciò che può renderli tali? Una volontà pervicace ha reso le famiglie incubatrici di deviazioni e risentimento, il lavoro non esiste se non come occupazione forzata atta a generare un reddito minimo, il passato e il futuro sono stati cancellati. Di qui il latente terrore, la malattia mentale in agguato, l'ansia che spacca i cuori che non riescono più a intravedere una rassicurante continuità.

Sono infelici? Nemmeno, poiché hanno tutto ciò che la propaganda etichetta come felice. I prodotti col marchio felicità abbondano sugli scaffali; pacchetti d'amore in offerta, emozioni col timbro certificato, orgasmi quantizzati, stupori a dozzina, confezioni regalo di gioia, telethon di bontà. Ho donato due euri ai bambini congolesi con un click ... sono buona secondo i più rutilanti programmi PolCor e, quindi, sono felice ...

Sono tempi satanici? Sì. Il dolore e la morte generano la speranza e la gioia. Qui, invece, c'è solo la mediocrità dell'eguaglianza. La broda tiepida e volgare è uno degli attributi del diavolo. Distruzione della vitalità umana.

Nella nostra fine è la nostra fine, ormai.

Mi dicono: ma non eri ateo? Non eri anticlericale? Ora ti dai al presepe? Diventi sanfedista? Sei proprio un fascista! A questo rispondo semplicemente: si può vivere con una speranza che si crede falsa, ma è impossibile vivere senza speranza.

La soluzione del precedente enigma: credere razionalmente impossibile la resurrezione non impedisce una fede. San Paolo aveva torto. Consacrare la propria vita a ciò che si ritiene bello, e dotato di senso, e utile per la vita: ecco perché, da ateo, apprezzo le leggende di San Francesco o Iacopo da Varagine e posso commuovermi di fronte alla crocifissione di Cimabue. Le più umili linee delle prospettive giottesche ad Assisi riassumono la storia presente e futura e ci legano a essa. Fuori non c'è salvezza, solo perdizione.

Anche il tempo meteorologico si armonizza con tale rovesciamento di senso. È un inverno sterile, nonostante le esagerazioni dei profeti delle previsioni. La siccità è ormai un problema, il terreno è secco, duro, illividito. La vigna è sterile, l'olivo è sterile, questa è davvero la terra desolata, disseccata, guasta.

Ritrovo, in un libriccino, gli appunti di un decennio fa. Una sorta di manuale in undici capitoli. Non 10 e nemmeno 12: 11. Un numero indivisibile, strano, difficile da ricondurre a simbologie. Ma ormai mi riduco al divertissement:

1. Il ribelle venera l'armonia dei contrari.
2. Il ribelle non combatte se per ristabilire l'equilibrio ferito dalla hybris
3. Il ribelle ignora la cronaca
4. La bellezza nasce dal senso della morte. La bellezza è un argomento.
5. Il ribelle comprende immediatamente il libro. Infatti ne ha dimenticate le parole.
6. Il ribelle ride delle minacce: è già morto, infatti.
7. Il ribelle ha inghiottito il mondo
8. Il ribelle sa che una stella ricapitola l'universo
9. Il ribelle è un fiume che ingrossa
10. Il ribelle si fa beffe dei travestimenti del tempo (Stetson! You who were with me at the ships at Mylae!)
11. Le opinioni sono figlie della superficialità. Chi sa, infatti, non ne possiede.