02 ottobre 2017

Pasolini, Morselli e la Roma senza Papa


Pubblicato il 1 giugno 2013

Pasolini comincia leggero: “Ho visto ieri sera (Venerdì Santo?) un mucchietto di gente davanti al Colosseo … ho creduto in un primo momento che si trattasse del gesto di qualche disoccupato arrampicato in cima al Colosseo. No. Era una funzione religiosa a cui doveva intervenire Paolo VI. C’erano quattro gatti … Credo che non ci fosse nessun romano. Un insuccesso più completo era impossibile immaginarlo(1). Tale spettacolo però lo raggelò nel profondo. Una nuova bestia dagli occhi verdi emergeva dalle acque ribollenti della postmodernità - una bestia suasiva, democratica, permissiva, tecnica: il Nuovo Potere, il materialismo consumista, il fascismo pubblicitario etc etc. Assieme alla Chiesa spariva improvvisamente dall’orizzonte storico quella tradizione agreste, familista, cautelosamente paleoindustriale, cattolica, che aveva costituito il midollo italiano per millenni e raccolto l’eredità immane della koiné greco-romana - un tronco gigantesco e immutabile da cui rampollavano le varietà straordinarie dei popoli italiani, dei linguaggi, delle arti, delle stratificazioni urbanistiche, degli incroci culturali e di sangue, delle forme, dei paesaggi, dei volti. Lo stesso fascismo storico (quello del ventennio mussoliniano), nonostante i tentativi disperati (linguistici, architettonici …), fu impotente di fronte a tale fioritura eterna. Di qui i fraintendimenti: Pasolini cattolico, Pasolini non antifascista coi fascisti. Vero: Pasolini rimpiangeva quella tradizione contadina, semplice e distillata nei tempi: in tal senso fu un vero cristiano, un dolciniano furente, debole coi semplici ed avverso al mondo clericale e piccolo borghese, crassamente pragmatico e prevaricante. Vero: egli liquidò brutalmente il fascismo storico come "banda di criminali" e "pietoso rudere", come breve accidente storico: per gli antifascisti, perciò, non fu abbastanza antifascista, poiché il suo antifascismo fu sempre diretto contro il nuovo totalitarismo dello sfrenamento edonista, dei falsi diritti civili, della falsa democrazia. Si doveva, forse, perdere ancora tempo con Almirante quando il nuovo Moloch avanzava come il Colosso del quadro di Goya?

01 ottobre 2017

La nuova moneta della Catalogna sarà il Messi


Roma, 1 ottobre 2017

La nuova moneta della Catalogna sarà il Messi.
Anzi no, scusate ... è la concitazione del momento ... dalla regia mi dicono che resterà quella di adesso: il marco riadattato.
Bel tempo stabile su quasi tutta la penisola. 
Foschie in Veneto e Trentino. 
E ora qualcosa di completamente diverso: consigli per gli acquisti.

Il Civati futuro (o chi per lui)


Pubblicato su Pauperclass il 10 maggio 2015

Ci son due momenti distinti nella partitica italiana.
L’uno è statico; l’altro dinamico (apparentemente).
Il primo è l’opera dei pupi.
Pupi, marionette, burattini. In tale fase i ruoli sono fissi. Arlecchino, Brighella, Pulcinella, i Carabinieri, Colombina, il Diavolo. I punti di riferimento abbastanza certi. Di solito il teatro dei pupi viene inscenato dopo le elezioni, quando tutti i rapporti di forza lobbistici sono definiti. C’è chi ha vinto e c’è chi ha perso; il primo passa all’incasso, il secondo cerca di riposizionarsi nei riguardi del vincitore eseguendo movimenti da Kamasutra che i pennivendoli osservano con solenne gravità.
Questo momento di stasi e sazietà dura, di solito, sino alla elezione ventura, purché sia importante. Pulcinella trema, appare il diavolo, vola qualche bastonata, Pulcinella si riscatta, Arlecchino si barcamena tra due padroni, Pantalone paga come sempre, arrivano i Carabinieri (quelli di Pinocchio, inoffensivi), vola qualche bastonata ancora, Pantalone paga. Per il divertimento del pubblico, sazio anche lui dopo l’abbuffata di junk food televisivo, vengono sceneggiati gustosi pezzi di teatrino; i ruoli, come detto, sono già assegnati. Il pubblico si identifica. Il pubblico che ha votato i vincenti se la gode (come certi tifosi che, dopo una vittoria, usano il noi: noi siamo stati grandi, noi più forti, noi più determinati); il pubblico che ha votato i perdenti cerca riscatto: vede i suoi beniamini sconfitti che cercano già un tarlo nell’azione del neo governo e li incita dalla poltrona. E così via.

La nazionale italiana è una cagata pazzesca


Pubblicato il 7 giugno 2016

Le adunate calcistiche dei bei vecchi tempi andati … le ricordo “come per suonno“, come in un sogno.
I ricordi ingigantiscono i contorni, sformano dolcemente le proporzioni; i volti, i dialoghi, gli impulsi. Solo in piena estate, nel primo pomeriggio, quando la canicola arroventa i tetti e i balconi, o, in campagna, fa schioccare vecchi tetti di lamiera, immobilizzando uomini e animali in uno stuporoso dormiveglia cullato dall’implacabile e misterico frinire delle cicale – solo allora, per pochi secondi, mi sembra di riafferrare quegli attimi d’infanzia; in modo immediato, vivido, definitivo. Persino gli odori sembrano ripresentarsi con una fragranza intatta e certa. Sono fate morgane della mente, miraggi del tempo perduto, impalpabili reperti che vivono a ridosso del vaporoso diaframma tra veglia e sogno.
Sì, ogni tanto, in quei precisi momenti, riaffiora la memoria di quei convegni estivi, vocianti, stordenti, irriducibili, inevitabili; per assistere alle partite della nazionale di calcio.

29 settembre 2017

Come scrivere senza sforzi il vostro romanzo personale

Nella sostanza sono d'accordo (come potrei non esserlo, visto quello che scrivo?); son meno d'accordo coi gusti letterari di Bardi e colle sue diagnosi.
Miyazaki e tutti i cartoni animati mi dicono poco e nulla. Ausonio, invece, mi piace.
La diagnosi, invece, è solo una: decadiamo poiché ci distacchiamo dalla tradizione.
C'è bisogno di un albero possente da coltivare (manieristi) o da incidere (eversivi della parola) o sfrondare (terroristi della parola) per progredire.
Se tale albero è reciso alla base non v'è più né manierismo, né sperimentalismo, né avanguardia.
Solo il dogma origina un'eresia e solo l'eresia fa crescere ciò che si riteneva un dogma.
Il corso d'acqua della creazione, non più alimentato, si divide in mille rivoli: la maggior parte è assorbito dall'impotenza, altri si avvitano attorno al proprio narcisismo. Nasce la metaletteratura, lo scherzo, l'aneddoto, la puttana letteraria.
Ciò che penso l'ha sintetizzato benissimo il commentatore Radek in calce a L'età della scimmia (gli stessi concetti si ritrovano, peraltro, in Nietzsche).
Proprio il disfacimento della figura del letterato e la degenerazione d'essa in una pletora di scrittori permalosi, insulsi e autoreferenziali (a cui importa nulla dell'arte e tutto della pubblicazione) mi ha fatto tornare in mente una sciocchezzuola scritta esattamente quattro anni fa.
La ripropongo come scherzo decadent, anche per alleggerire la mia plumbea reputazione.

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Ogni lettore ha un proprio sogno nel cassetto, più o meno rivelato al cuore: scrivere un libro.
La pigrizia, il terrore della pagina bianca, la sensazione di non aver nulla da dire hanno spesso bloccato la volontà di questi autori in erba.
Niente paura. Le cose sono cambiate.
Cosa si cela dietro un romanzo oggi? Un buon titolo (generico e stupidamente evocativo), packaging accattivante, raccomandazioni, pubblicità sfacciata, relazioni di parentela, pubblicità subliminale, conoscenze nel mondo dell’editoria, pubblicità sull’onda d’una moda passeggera, la tessera della Massoneria, numerazione dell'Opus Dei, Fabio Fazio. La letteratura è fuori questione; e l’originalità pure, schifate entrambe da subito (giustamente, occorre aggiungere).
Non so come siate messi con la Massoneria e Fazio e quant’altro; posso regalarvi una dritta, però. Il titolo è decisivo. Non solo perché attira, nelle pile della libreria, il gonzo medio, ma perché un buon titolo stimola da subito l’idea per un canovaccio e una trama mediocri che, una volta oggettivati, attireranno, senza fallo alcuno, il gonzo medio.