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03 febbraio 2020

XanaX (orazione del mattino)


Roma, 3 febbraio 2020

Sono, da sempre, sin dalla più tenera età, un cultore dei giochi di parole. Cambi di vocale, sciarade, anagrammi; e il palindromo: il palindromo semplice (“ottetto”), a frase (eccone uno grazioso di Marco Buratti: “E poi Martina affoga la goffa anitra miope”), sillabico (“Ne-ro-ne”).
Il palindromo non va confuso coll’antipodo per cui è lo spostamento della lettera iniziale al fondo della novella parola mutila a generare sé stessa au contraire (“m-ottetto”; “ottetto-m”) e nemmeno col bifronte laddove l’inversione genera un vocabolo ulteriore (“edile”; “elide”). Il palindromo, insomma, è del tutto sterile. Suo corrispettivo è lo specchio. L’ora di mezzanotte (00.00) gli si avvicina di molto. In uno specchio, a mezzanotte, può scorgersi il diavolo, l’entità sterile per eccellenza (il suo sperma è ghiacciato). La nostra epoca sterile si nutre di specchi e palindromi, tautologie e circoli viziosi.
A essere abolita è la creatività. Creare qualcosa di differente, pur da elementi preesistenti, vien visto quale atto eretico, da prontamente boicottare.
Il circolo vizioso determina la nostra vita civile e filosofica. Il palindromo XanaX cura, fallacemente, le ansie del circolo vizioso della waste land.

22 ottobre 2019

Le ombre [Il Poliscriba]

 

Il Poliscriba

"Là, nel deserto australiano, esiste un posto dove gli aborigeni pregano, all'interno di un supermercato, davanti a vernici e detersivi, perché una volta in quel punto sorgeva un albero sacro".
W. Herzog

Eccomi immerso nel mondo delle ombre.
Nelle mie orecchie il pianoforte batte gli accordi minori del trio op.100 di Franz Schubert, quel secondo movimento lento  intriso del lamento tetracorde del violoncello che, per alcuni di voi, ricorderà le scene a lume di candela di Barry Lyndon.
Scriverò di getto, non mi soffermerò granchè, come mia consuetudine, sul mio pensiero distrofico, per evitare di inondarlo di importanza auto-trofa che proprio non desidero tributargli.
La mia dissertazione ignorante, oggi, verte sul sospetto e sulla mania che da esso promana.
Mi riferisco, più precisamente, a questo continuo cercare dietro i sipari, i burattinai, visto e considerato che sulle marionette o i pupi sospesi ai fili dei loro manovratori, non c’è molto da dire.
Quello che ho osservato in maniera discreta, senza troppo vacillar di presunzione, è la completa assenza di prospettiva dei supposti "Agenti del Male" per mancanza di tempo e non del suo contrario.
In genere, il sospettoso, che per motivi lessicali non nominerò complottista o complottologo, è convinto, in buona fede, che il male non sia banale - perdonate la rima non cercata - ma più informato del popolo mazziato e in anticipo sugli eventi, anzi è lui che li crea e li dirige, consapevole che il futuro è nelle sue malvagie mani.

13 aprile 2018

Per un nuovo patriottismo


Roma, 13 aprile 2018

Non temo l’Africa e l’Islam, ma i déracinées dell’Islam e dell’Africa.
Se c’è una nota stonata nelle Fallaci e compagnia neocon è l’ingigantimento del pericolo “Islam”. I minareti in luogo delle chiese, la polemica sul velo islamico, la contrapposizione fra il “nulla” della cultura islamica (al massimo Omar Khayyam, concede la signora fiorentina) e Michelangelo, Della Robbia, Leonardo, Raffaello.
Qui opera, al solito, l’equivoco. Anzitutto compulsiamo questi elenchi di genî italici: sono gli elenchi che gli interrogati, i meno svegli, snocciolavano alla scuola media. Sono listarelle di comodo, scolastiche, mnemoniche, buttate lì per fare effetto su un pubblico altrettanto incolto dei loro estensori. La felicità della sapienza, composta da letture assidue e dure, insolite e vaste, è, infatti, estranea a tale inverecondo generone. Questa gente non ha la più pallida idea di cosa sia l’Italia e il genio italiano.

11 giugno 2017

Quando morirà l'ultimo italiano


Pubblicato su Pauperclass il 7 marzo 2016

Sto leggendo con piacere e una punta di disperazione un libro di Jean Raspail, I nomadi del mare.
È fuori catalogo (logico che lo sia) così come la distopia di Raspail, Il campo dei santi (1973), dove è preconizzata la fine dell’Europa a causa di un’ondata migratoria inarrestabile.
I nomadi del mare è un romanzo-saggio sugli Alacaluf, un popolo che oggi non esiste più, e che abitava le terre dell’estremo Sudamerica, protese verso i ghiacci del Polo Sud. Gli Alacaluf (il loro nome indigeno era Kaweskar, gli Uomini) si estinsero a partire da un incontro fatale: quello con le golette di Magellano (1520), in rotta per le Indie traverso la Terra del Fuoco. A contatto con la diversità schiacciante degli europei (gli dei sconosciuti, le malattie, la repressione, l’alcolismo, la mortifera compassione) la cultura paleolitica dei Kaweskar si sbriciolò lentamente.
Scrive Raspail:

A Puerto Eden morivano gli ultimi resti dei clan Alacaluf. Non morivano di fame … si spegnevano di disperazione, uno dopo l’altro, nella lunga notte della loro memoria. I morti non venivano sostituiti. Non mettevano più al mondo bambini perché si sapevano condannati. Erano consci che nel mondo dei vivi non c’era più posto per loro …“.

Il crollo demografico è sempre indice di decadenza, mai di progresso. Anche tale popolo, che non aveva parole per indicare la felicità e la bellezza, morì quando si trovò privo del proprio ambiente, dei modi di vita, delle usanze, della lingua, delle comuni paure, persino delle consuetudini più aspre e che rendevano l’esistenza fragile e pericolosa.
Pericolosa, ma dotata di senso.
Essere sé stessi: ecco il cuore del problema. Essere sé stessi, a dispetto di una morale altra, a costo dello scandalo, ecco la felicità. È un mio sospetto: i Kaweskar non avevano parole per la felicità e la bellezza solo perché la loro vita ne era già impregnata, al di là delle sofferenze che imponeva la sopravvivenza quotidiana.
Raspail rimarrà ossessionato da un’immagine, risalente al 1951:

… Durante un viaggio nella Terra del Fuoco, attraversando lo Stretto di Magellano, vidi, per non più di un’ora, nel vento e sotto la neve, una delle ultime imbarcazioni degli Alacaluf. La scena era identica a quella descritta da altri viaggiatori: Byron, Bouganville, Dumont d’Urville, l’ammiraglio Barthes e … José Emperaire. Non la dimenticherò mai. Mi ha ossessionato … finalmente questa volta la esorcizzo dandole, spero, la sua vera dimensione, sulla misura dell’eternità in cui riposa ormai questo popolo. Questo incontro all’incrocio dei tempi è la base del mio libro: un po’ di braci in mezzo alla barca per far rinascere il fuoco, due donne coperte di stracci, un bambino triste, tre rematori con uno sguardo da altro mondo …“.

Questo incontro fortuito donerà ai Kaweskar un minuscolo risarcimento: in tal modo, inconsapevoli, essi si garantirono il cantore dei loro ultimi giorni. Raspail divenne l’Omero degli ultimi Uomini.