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25 marzo 2019

Da Mishima a Venner. Apologia di suicidi inutili che non hanno arrestato quello collettivo della specie umana [Il Poliscriba]


[Il Poliscriba]

Martedì 21 maggio 2013, circa alle ore 16 (un secolo fa per il web, mai accaduto per l’ignoranza insita o indotta nella specie italica/europoide) nel coro della cattedrale di NÔtre-Dame a Parigi, lo storico del diritto e saggista Dominique Venner (classe 1935), si suicidò sparandosi un colpo in bocca.
Poco prima dell'atto, Venner pose sull'altare un testo che doveva o avrebbe dovuto spiegarlo a chi lo conosceva e a chi di lui si ricordava soltanto come oppositore della legge in favore del matrimonio omosessuale, che fu adottata e promulgata dal Parlamento francese  il 17 maggio del 2013, quattro giorni prima dell’estremo  gesto.
La lettera:

"Perché mi do la morte?
Sono sano di spirito e di corpo e sono innamorato di mia moglie e dei miei figli.
Amo la vita e non attendo nulla nell'al di là, se non il perpetrarsi della mia razza e del mio spirito.

19 marzo 2018

Stiamo tutti cercando qualcosa di reale [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

"C’è sempre un momento nella storia degli uomini in cui la difesa della propria tradizione culturale vuol significare che tutto ciò che è accaduto non è stato vano, che il tormento, la gioia, l’odio, l’amore folle e smisurato per affermare la realtà di una passione, continua a vivere e ad avere un senso. Ma quando, guardando indietro, si pensa di appartenere ad una tradizione non più recuperabile, ci si persuade che il destino non dà nessuna spiegazione e nemmeno l’ombra di una motivazione su ciò che è stato, allora la ricostruzione di un’identità perduta e dimenticata diventa impossibile e rimane soltanto l’angoscia dello sradicamento, la desolazione e la solitudine vissute come incubo quotidiano".

Stefano Zecchi (dalla prefazione a Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler)

Nel Carmelo si entrava nella cella e un teschio appoggiato sul piccolo scrittoio, accanto al rigido giaciglio, ricordava l’estrema debolezza della carne, il martirio dei sensi, il Golgota, la rudezza della vita di un soldato che conosce il breve sonno, mai ristoratore, di una notte  corona di poche ore, prima del mattutino.

L’eroe, il santo e il mediocre soli possono morire pacificamente, affermava Bernanos.
In questa ribalta da piccola bottega degli orrori che ci si è apprestati a definire società dello spettacolo (bizzarre-freak), il mercante, il cliente e il politico sono la manifestazione infida del sublime giullare, dell’atletico saltimbanco, dell’illusionista, del ciarlatano da fiera che annusano la credulità del volgo, il senso innato della fede, l’atavico desiderio di spostare ogni centimetro del proprio fragile essere in un’incarnazione, nelle radici occulte di un oggetto di culto supremo che, dopo la morte di Dio, ai bordi della strada, è destinato ad essere un’intercambiabile ridda di metempsichici frammenti di un’ Atlantide Iperborea.

La vita è così tremendamente straordinaria a causa dell’ordinarietà della morte.
La paura è talmente ovvia, salutare e diffusa da rendere il coraggio molto poco desiderabile.
La quotidianità è un elenco di azioni sconclusionate, una serqua di aforismi estrapolati da un inedito di Cioran riscritto dal suo eteronimo, Fernando Pessoa.