Visualizzazione post con etichetta Equitalia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Equitalia. Mostra tutti i post

16 aprile 2020

Aridateci la nostra libera schiavitù [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Colpo di Stato, ma che colpo se lo Stato qui non c’è ...

Stefano Rosso

Caro a-micco ti scrivo,
così mi distruggo un po’ e siccome sei a un metro di distanza, più forte ti eviterò.
Forse mi sono sbagliato: vivevamo, prima del virus, nel migliore dei mondi possibili.
Nessuno si lamentava dei turni di lavoro, dei contratti atipici di ogni sorta, delle 70 adempienze fiscali annuali per partita IVA, di Equitalia, dell’estorsione del Canone RAI (a quando la paytv?), delle garanzie estreme per accendere un mutuo, degli affitti esosi, del costo della vita, delle zone a traffico limitato, della serqua di divieti e delle trafile burocratiche per “semplificare” l’esistenza urbana e mantenere sistemi di sfaticati, parassiti e ‘o guappi ‘e cartone.
I sociologi hanno scritto un sacco di fregnacce sulla crisi delle masse prodotte dal turbocapitalismo.
Le folle solitarie, le chiamavano; la società liquida e quella dei servizi del primo mondo mantenuta dalla globalizzazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo nel resto del pianeta; la distruzione del padre e della famiglia, la donna assurta a utero in affitto, macchina tra le macchine e la transessualità ... il buio oltre la papera secondo Benigni.
Favole, ben retribuite, frottole un tanto al chilo.

30 gennaio 2018

Mortacci / 2 (Paralipomeni a Il respiro dei nostri padri)



Roma, 30 gennaio 2018

- Il respiro dei nostri padri
- Mortacci / 1


In un bar, sette di sera. Aperitivo. Ritualità postdemocratica.
Io, da solo; all’altro capo del tavolo lui e lei, compagni da una vita.
Un po’ giù di corda. Taciturni. Sfuggenti. Preoccupati.
Cosa sono queste ombre che intravedo nel volto dei miei amici? Anzi: dei miei conoscenti?


[Amici non ne ho più, infatti. Il significato della parola amicizia un giorno verrà riscoperto. Quelli che credevo amici sono oggi dispersi. Uno è morto. Ammetto d’essere un po’ difficile da sopportare. Non nei modi, che ritengo urbani e civili. D’altra parte mi è riconosciuto un generale disinteresse, sin alla completa mancanza d’ambizione, e una lodevole magnanimità. No, il problema risiede in ciò che penso. Posso intavolare un simulacro di relazione solo mentendo spudoratamente su me stesso. Fingere d’essere un altro, letteralmente. Ognuno riterrà ovvio come, su tale recita, non possano basarsi amicizie, ma solo rapporti fuggevoli e stranianti. Dire la verità, la verità di ciò che si pensa e di quello che interiormente consuma, reca, inevitabile, il progressivo affievolirsi d’ogni normale socialità, risiedendo ogni parvenza d’essa nella menzogna. Una menzogna che è da definirsi in modo affatto nuovo: conformismo a idee non proprie, innaturali; eppure universali. Un’etica non imposta da nessuno, insinuante e che si ritrova dappertutto, nelle forme più amabili o nei travestimenti più rassicuranti. Quando si parla, quindi, occorre obbligatoriamente far riferimento a tale corredo di idee e comportamenti prestabiliti. Prestabiliti da chi? Da nessuno. Vagano nell’aria. Vapori del sabba. Zeitgeist. Una deroga, pur debole, porta già lo stigma dell’eccentricità; il rifiuto d’essi in nome d’una personale ed elaborata visione del mondo, invece, alla solitudine].

Ma torniamo ai nostri eroi. Cos’è quell’ombra che vela i loro occhi? Forse la madre (di lui) malata? Il padre (di lei) che devono accudire? Gli anziani genitori. Il tempo che manca, il bimbetto da accompagnare a scuola, da ritirare dalla scuola, i moduli da compilare per farlo restare a scuola, le maestre, i maestri, i primi capricci capitalisti del moccioso.

23 gennaio 2018

Davai, Italianski!


Roma, 23 gennaio 2018

Puntuale come la morte mi arriva una notifica. Anzi, l’annuncio di una notifica. Probabilmente una cartella Equitalia. Lo sento nel sangue. Ormai mi sono trasformato in una sorta di Nostradamus burocratico, azzecco tutto. Probabilmente una bella cartella di Equitalia Servizi di Riscossione SpA. L’ente abolito.
Qualsiasi cifra, vacci a capire. Cento euro, mille, ventimila.
Il fogliaccio invita la mia persona a recarsi presso la Casa Comunale di Roma, in via Petroselli 50. So già che mi aspetta l’inferno. Un languore acido macera già lo stomaco.
Il postino mi consola. Lui non dà rilievo alla notizia, lui è felice come una Pasqua. “Se non l’avessi incontrata al portone ora dovrebbe andare alla posta, e invece …”. Io, che già sono plumbeo e incarognito, lo guardo come un nemico mortale, lo stolido fantaccino di un esercito che mi ha mosso guerra. Accade l’inevitabile. “Già, ma perché tu stai qua? …”, gli sbatto in faccia, polverizzato ogni galateo. “Dimmelo tu. Perché stai qua … eh, perché? A rendermi fortunato?”. Le parole erompono da sole. Son estraneo a me stesso. Uno spirito di morte si è impossessato dei precordi.

19 luglio 2017

Il plebeo Bossetti


Roma, 19 luglio 2017

Massimo Bossetti è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, ma è innocente.
Massimo Bossetti non fa parte di nessuna clientela, gruppo, associazione, massoneria. Nell'Italia del 2017 è, quindi, pura carne da cannone, sacrificabile.
Nell'Italia del 2017, che è una galera a cielo aperto, come scrissi in Prigione Italia, occorre appartenere a qualche consorteria altrimenti si è spacciati: il medesimo destino che tocca ai detenuti di una vera galera. Consorterie, a scelta: statali, banche, camorra, partiti, mafia, confindustriali, ring pedofili, giornalisti, lobby sioniste, ONG, servizi natoamericani, pretame, sindacati, militari, vacche sacre del politicamente corretto.
Se si è davvero scaltri o abili è possibile rientrare in più di un gruppo di tale patriziato dominante: questo spiega le porte girevoli fra partiti e magistratura, tra banche e mafia e vertici globalisti, fra pretame e pedofili, fra camorra e ONG.

23 giugno 2017

Prigione Italia


Pubblicato su Pauperclass il 10 maggio 2016

Ho il privilegio di poter quantificare il grado fisico di felicità di cui ancor godevano gli Italiani qualche decennio addietro.
I miei genitori arrivarono a Roma nel 1967. Due provincialotti inurbati, come tanti.
Senza particolari ambizioni e pretese. Vivevano. Allora la vita si coglieva dai rami, e nessuno s'interrogava granché sul futuro. Si era dolcemente trasportati dalla corrente. I due risparmiarono ferocemente per quindici anni, poi, nel 1982, accesero il mutuo per la loro prima casa. Durante il trasloco si portarono via anche una scatola da scarpe molto speciale. Era il loro archivio.
La tenevano in un vecchio armadio, in fondo, quasi dimenticata. In essa, una normalissima scatola di scarpe, trovava spazio l'intera loro vita burocratica.
Ricevute d'affitto e del riscaldamento, quietanze condominiali, comunicazioni INPS, rate per l'acquisto d'un paio d'elettrodomestici (lavatrice e lucidatrice), il canone RAI, persino un fascio di telegrammi di felicitazioni per il matrimonio.
I rapporti con le società di luce, telefono, acqua e gas erano sporadici e chiari. Ti dò un servizio e tu paghi: un bigliettino liberatorio di pochi centimetri quadrati tedtimonierà questo nostro patto. E basta.
La vita burocratica dei miei ascendenti maggiori (nonni) era ancor più scarna. Anche qui: poche bollette (non avevavo manco il gas metano, nè condominio, nè caldaie) e qualche statino della pensione. Eppure era gente che lavorava e produceva. Lo Stato però si limitava a vigilare: in maniera quasi benevola, distaccata, umana.

19 giugno 2017

Roma non va governata, va demolita


Pubblicato su Pauperclass il 17 aprile 2016

A Roma è facile svegliarsi stanchi.
Solo il pensiero dello spostamento fisico all’interno della città provoca scariche chimiche depressive.
Il rantolare degli autobus, le banchine della metropolitana rigurgitanti, un clangore sordo, costante, di trombette, di sgommate brucianti, clacson, motori imballati, chiacchiericcio telefonico, stupidaggini, suonerie coprolalie: un bordone che pian piano, per abitudine, o forse perché il corpo non può resistervi, scade nell’inudibile, anche se ce lo teniamo dentro, tutto il giorno, e quello lavora nell’anima, fino a svuotarla; e, poi, il paesaggio urbano: ai limiti dell’incubo postatomico: cassonetti sventrati, campane per il vetro bruciate, muri lordati dai writer, merde di cane, marciapiedi sbrecciati e infestati dalle erbacce – erbacce fiorenti, nonostante lo strato compatto e annoso dei rifiuti depositato negli angoli: involucri di merendine, carte unticce, lattine schiacciate, cariche telefoniche, polvere, mozziconi, schegge di plastica scolorite, residui di copertoni; e la promenade, sempre uguale, e sempre depressiva: una teoria interminabile di bar, pizzerie, kebabberie, yogurterie, gelaterie, patatinerie, tavole calde, nail bar, tea room, rosticcerie kosher, lounge bar, piadinerie, supermercati, ipermercati, discount, alimentari calmucchi, fornai egiziani; e poi il ciarpame: bigiotterie bengalesi, casalinghi cinesi, bancarellari d’ogni risma (Tutto a 3 euro! Tutto a 2 euro! Tutto a 1 euro!), a decine, a centinaia, sui marciapiedi, sugli scivoli per handicappati, appoggiati alle colonne di marmo secolari di Piazza della Repubblica, sotto la metro, dentro le stazioni, nei giardini pubblici, luridissimi, con l’erba scolorita e stenta per le continue pisciate; e poi gli sciami di mendicanti, i lavavetri, i venditori improvvisati, gli zingari che uncinano gli oggetti di scarto direttamente dalle pattumiere – oggetti da rivendere in fiere domenicali improvvisate, abusive e senza controllo, sotto lo sguardo domenicale e apatico dei vigili urbani, mentre tutti - zingari, vigili e romani - respirano il lezzo d’improvvisate e appiccicose bancarelle d’arrosticini.

13 maggio 2017

Storia di due barbieri


Pubblicato su Pauperclass il 14 aprile 2015

Il mio barbiere di fiducia chiude i battenti.
Un vecchio immigrato siciliano a Roma, fine anni Sessanta.
Negli ultimi anni s’era un po' intristito.
Ogni volta che entravo nella bottega (dieci-quindici metri quadri) vedevo sul tavolinetto plichi rigonfi e candidi, con caratteri regolari stampigliati sopra. Giacevano lì, uno sopra l'altro, squarciati con modesta regolarità. Non c'era bisogno di leggervi intestazioni o contenuti; già sapevo di cosa si trattava. Anche a distanza quelle missive trasudano la copiosa e burocratica ferocia nichilista propria degli apparati statali o parastatali quando si rapportano all'utente o al cittadino, il loro servo della gleba.
Quasi parallelamente i nostri brevi dialoghi avevano mutato indirizzo e tono; dal calcio e dai pettegolezzi s'erano spostati prime a vaghe considerazioni politiche (genere: va tutto a rotoli), quindi a tematiche da commercialisti.
Ogni bimestre aveva la sua pena. Rimborsi, Inps, Irpef, AMA, intimazioni di chiarimenti, richieste di dichiarazioni. Ogni tanto, nella concitazione, fermava pettine e forbici per inseguire un pensiero, poi ricominciava, quindi, preso da un'ispirazione incontrollabile, abbandonava i ferri per prendere i faldoni burocratici e squadernarmeli davanti. Come a dire :”Non ci credi? Ecco qua!” e aggiungere, di soppiatto: “Vedi un po' cosa si può fare!”.
E io leggevo, ma, mi tocca ammetterlo, non capivo nulla. E non è un modo di dire: non capivo assolutamente nulla di quel gliuommero di citazioni e rimandi da leguleio psicopatico. Nonostante mi picchi di vantare un'intelligenza dei testi superiore alla media, a fronte a quell'intrico di “ex art” o “in seguito all'avvenuta approvazione …” mi sentivo sfiorare, per usare un'espressione di Baudelaire, dall'ala dell'imbecillità.
Di fronte a quel siciliano antico gettare la spugna era però difficile senza gettar via anche un po' d'onore. Quindi, spesso, tergiversavo, cambiavo discorso, o rimandavo al giudizio degli organismi competenti - quegli organismi, insomma, che, essendo competenti, avrebbero tagliato il nodo di Gordio dell'incomprensibilità.
E mentre mettevo in atto questa tattica dilatoria (facevo ammuina, insomma) mi veniva in mente un periodo della mia vita in cui avevo persino cercato di capire. Le procedure Equitalia, ad esempio; mi ero persino provveduto di un bel volume delle edizioni Simone: ero insomma deciso a fare chiarezza in quell’intrico di norme prassi e iter della burocrazia italiota; un tempo felice, in fondo: corrispondeva a un certo ingenuo illuminismo del mio animo teso ancora a credere in una buonafede delle istituzioni - buonafede macchiata (peccato!) solo dal consueto gergo fantozzian-impiegatizio … solo col tempo capii che l'essenza di quei mandala esattoriali risiedeva nella totale incomprensibilità ... ovviamente dolosa ... e passai dall'illuminismo a una sorta di odio permanente verso ogni formalismo ... (a puro titolo di cronaca: il volume della De Simone lo mollai a pagina 60).
Ma ritorniamo al nostro barbiere.