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26 novembre 2019

Pausa caffè



Roma, 26 novembre 2019

Sarà più facile di quanto si pensi. Abituarsi alla monarchia degli sfaccendati e dei pezzenti che si credono benestanti. Sarà ancor più facile che fare il callo papillare al gusto degli insetti tostati e delle alghe liofilizzate.
Voglia di lavorare saltami addosso. Sì, vi è la costante, pervicace, inaffondabile, idea che il lavoro più non renda. A che pro lavorare? E allora, pian piano, ci si sprofonda nel miele accumulato da madri padri e nonni, quegli orsi selvatici; e si succhia, lentamente, con un occhio, atterrito, a imposte e balzelli e cedole condominiali, e l’altro, speranzoso, alle mirabilie della tecnica finanziaria che promette, caschi il mondo, cospicui interessi; sotto forma di paghetta digitale; ogni tre mesi, direttamente sul conto in banca: ventotto euri, quattordici euri, ventisette euri: a rimpinguare le scorte dei sommenzionati orsi.

No, non si ha più voglia di lavorare. È un complotto? In effetti, a compulsare le orge statistiche, pare proprio un complotto più che un trend. Lavorare equivale innanzitutto a essere qualcosa. Il lavoro identifica. Il lavoro, poi, specie quello artigianale o altamente professionistico, immette in una considerazione di sé stessi più alta: il restauratore, il geometra, il falegname, l’avvocato, il ragioniere: ecco le corporazioni. La corporazione è, come la si consideri, un’entità sovraindividuale, appena al di sopra della famiglia; e al di sotto della Patria: entità che spiacciono ai dissolutori.


03 agosto 2018

Generazioni scomparse (vanishing Italians)


Roma, 3 agosto 2018 

L'opulenza digitale reca l'estinzione.
Il digitale è un progresso o no?
A tirar le somme pare un netto regresso.
Serve il digitale? Certo, a dominare meglio le pecore.

Le fotografie di famiglia. Nonni, mamma, papà, figli, nipoti, amici. In bianco e nero oppure esornate dai primi timidi colori.
Le foto di famiglia costituivano una bella responsabilità.
Anzitutto c’era l’apparecchio vero e proprio, che aveva un costo suo, e occorreva custodire con cautela, in appositi foderi di pelle o similpelle. E poi c'era il rullino, costoso anch'esso. Si scattava quindi, ma con parsimonia, poiché ogni clic aveva un prezzo: la posa doveva essere studiata, avere significato, o assommare più gente possibile: non si poteva immortalare un albero un fiore una casa un cane: che spreco era quello? Tutte le vecchie foto eran cariche d'un compito preciso: tramandare a chi di dovere momenti salienti della storia di famiglia. Ogni immagine vantava sul retro una dedica oppure la data, scritta, con cura, a penna, assieme alla località ove era stata presa; a volte si indicavano nomi e nomignoli degli attori coinvolti. “Luigi e Ines”, “Zio Valerio e la sua chitarra”, “Giampi a Milano Marittima 1961”, “Mamma e Papà, Ladispoli 1967”, “Giovanni al giuramento, Taranto 1972”. Per tacere dei sacramenti: battesimi, comunioni, cresime, matrimoni; persino funerali.

30 dicembre 2017

I passi di un uomo (mangia caca mangia)


Roma, 30 dicembre 2017

In una breve nota al suo divertimento, Lo specchio degli enigmi, contenuto nella raccolta Altre inquisizioni, J.L. Borges scrive:

Che cos’è un’intelligenza infinita? domanderà forse il lettore. Non c’è teologo che non la definisca; io preferisco un esempio. I passi che muove ogni uomo, dal giorno della sua nascita a quello della sua morte, disegnano nel tempo un’inconcepibile figura. L’Intelligenza Divina intuisce tale figura immediatamente, come quella degli uomini un triangolo. Quella figura (forse) ha la sua determinata funzione nell’economia dell’universo”.

Nel Poema congetturale si legge:

"A questo fatale pomeriggio mi ha condotto
il labirinto molteplice di passi
che i miei giorni hanno architettato fin da un giorno
dell'infanzia. Alla fine ho scoperto
la recondita chiave dei miei anni,
la sorte di Francisco de Laprida,
la lettera mancante, la perfetta
forma che seppe Dio fin dal principio.

Spogliamo della teleologia i due passi. Ne consegue che solo Dio può avere contezza immediata e luminosa del ghirigoro immane che i passi che un uomo tratteggiano lungo l’intero corso della sua esistenza.
Dio oppure uno smartphone.

18 giugno 2017

Ma chi è il Marcuse dei nuovi tempi?


Pubblicato su Pauperclass il 31 marzo 2016

Una volta la rivoluzione aveva un senso.
Gli operai, gli studenti, i salariati erano rivoluzionari.
E il padronato reazionario. Con tutti suoi lacchè: preti, militari, piccoli burocrati.
A ripensare a quei tempi (che ho vissuto di sfuggita, come calore di fiamma lontana) mi si stringe il cuore.
Ah, le belle barricate!
Una volta la rivoluzione aveva un senso!
Il padrone cattivo teneva sprezzante il sigaro fra i denti; i preti proibivano la carne; i militari spedivano al macello intere generazioni; l'ipocrita perbenismo permeava la scuola.
Bei tempi, ve lo confermo!
I pilastri della società (1), la celebre tela di Georg Grosz, riassumeva icasticamente tale plastica contrapposizione.
E poesie come queste dicevano tutto (2):

"Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro ...
Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c'era, e nessuna rivolta ..."

Il sol dell'avvenire! Abbiamo mai fatto mente locale a queste parole? C'era un avvenire! Un futuro!
E le lotte corrodevano il potere.

[Il taglio dell'articolo è "da sinistra", poiché provengo da quel mondo. Sono sicuro, però, che alcuni "da destra" - maledette, inadeguate, parole! - troveranno delle consonanze con quanto andrò a scrivere]

Ma il colpo del genio era dietro l'angolo.