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12 maggio 2017

Come distruggere l'economia locale


Pubblicato il 12 marzo 2015; ripubblicato su Pauperclass il 17 marzo 2015

Olio con sapiente arte spremuto
Dal puro frutto degli annosi olivi,
Che cantan -pace! -in lor linguaggio muto
Degli umbri colli pei solenti clivi,
Chiaro assai più liquido cristallo,
Fragrante quale oriental unguento,
Puro come la fè che nel metallo
Concavo t’arde sull’altar d’argento,
Le tue rare virtù non furo ignote
alle mense d’Orazio e di Varrone
che non sdegnàr cantarti in loro note ...

Una poesiaccia di Gabriele D'Annunzio sull'olio. L'olio d'oliva, quello spremuto dalle olive, i frutti che crescono sugli olivi, insomma. Ho voluto esser didascalico per tema d'un fraintendimento. Pochi sono avvezzi alla terra ormai; pochi oggi hanno visto dal vivo un pollo o un coniglio o un castagno (anche se li pappano regolarmente); la natura, anche la nostra, la mite natura mediterranea, entra in rapporto con l'uomo postmoderno solo traverso la mediazione del supermercato; o della boutique alimentare. Anzi, molte volte l'uomo di tal fatta crede la natura - quella vera - sia tale e quale come appare dagli involucri dei prodotti commerciali. Ha una fede inestinguibile in tale bric a brac di folclore disneyano: crede che le mucche ridano; i maiali si rotolino nel fango profumato agitando la coda a cavatappi per la contentezza; che le pecore sia come Shaun, quella del cartone animato; e che i villici siano uomini con appena un velo di barba incolta, sorridenti pure loro, al massimo con un cappello floscio alla Antonio Misseri; e che le campagnole siano o villiche in carne, fresche e sorridenti, o foresette col canestro appresso, pronte a far ingurgitare gelatine ai cavalli. Spesso, quando tale arcadia si infrange sulla verità, l'uomo postmoderno ha un moto di ripulsa: ad esempio quando scopre che le villiche sono omicide seriali di animali da cortile (cruente quanto indifferenti), che il contado bestemmia sovente e vanta una igiene, come dire, poco igienica; e via così. Conoscevo un tale che era ghiotto di zabaione; tutte le mattine si faceva preparare un bell'uovo fresco (davvero fresco: ancora caldo di gallina) con caffè e latte; ah, che goduria! Poi si rese conto che l'uovo (l'interno dell'uovo, quello che lui sorbiva) proveniva da un uovo (col guscio, tutto intero) e che quell'uovo (il secondo che ho detto) aveva tale guscio, come dire, tutto chiazzato dai recenti sforzi della gallina ovipara - sforzi volti a estromettere, in ultima analisi, lo stramaledetto uovo testé menzionato (nella seconda accezione). Lo shock di quell'uovo garbatamente smerdato fu una scena primaria così forte che il nostro per poco non cadde in deliquio; e mai e poi mai volle più assaggiare uova fresche che, lo seppi de relato poco tempo dopo, secondo lui "puzzavano". Questo per dire che il cittadino della società digitale vive in una landa tutta sua e mai esperisce la reale realtà che produce, volente e nolente, il cibo e le leccornie da lui gustate. Egli ha in mente Dulcinea del Toboso, bellissima e olente: mai si sognerebbe una solida massaia, colle maniche rimboccate e il culo basso; rischierebbe la pala del mulino sulla zucca.
E così per l'olio. Se lo chiede mai l'italianuzzo chi lo fa l'olietto? Chi lo produce? Chi lo materializza tutte le mattine presso il locale (super)mercato o boutique alimentare?